L’amore del samaritano

 

 

 

Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, dicendo: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna

 Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?»

 Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso».

Gesù gli disse: «Hai risposto esattamente; fa' questo, e vivrai».

Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo

 Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s'imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.

 Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto.

 Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto.

 Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui.

Il giorno dopo, presi due denari, li diede all'oste e gli disse: "Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno".

 Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s'imbatté nei ladroni?»

 Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia».

 Gesù gli disse: «Va', e fa' anche tu la stessa cosa».  (Luca 10:25-37)

 

***

 

Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, dicendo: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna

Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?»

Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso».

Gesù gli disse: «Hai risposto esattamente; fa' questo, e vivrai».

Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo

 

Ci accingiamo all’analisi di un testo apparentemente semplice ma con risvolti “tecnici” non tanto semplici e di immediata comprensione.

Dobbiamo considerare che ci troviamo davanti ad una domanda tendenziosa fatta da un dottore della Legge e Gesù, per rispondere scende al suo livello culturale/religioso.

I dottori della Legge erano uomini appartenenti alla corporazione degli Scribi, che erano al tempo stesso i custodi, i copisti ed i commentatori della legge.

Il “metterlo alla prova”, trattandosi dei rapporti delle sette giudaiche con Gesù, è generalmente inteso in senso sfavorevole, di fatto quest’uomo aveva preparato un tranello per Gesù, proprio come successo in altre occasioni, per cercare di far cadere Gesù nel suo insegnamento in qualche cosa di contrario alla Legge.

La domanda posta dal dottore della Legge, era frequente fra i Giudei (fatta eccezione per i Sadducei), perché, essi credevano nella risurrezione del corpo ed erano perciò ansiosi di assicurarsi un posto nel «seno di Abrahamo», come, chiamavano il paradiso celeste.

È la stessa che il giovane ricco farà a Gesù successivamente (cfr Luca 18:18).

Gesù conosceva molto bene l’intento di quest’uomo ed avendo davanti un “dottore della Legge”, gli propone la risposta sulla base del suo stesso parametro di pensiero: Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?

Inoltre dobbiamo tenere sempre presente che davanti a qualsiasi “tentazione”, Gesù ha sempre risposto con la Scrittura (cfr la tentazione operata da satana subito dopo il battesimo di Gesù).

Non è caduto nella trappola di aprire una discussione senza appoggiarsi su quanto “sta scritto”.

Questo è per noi un esempio di Umiltà, Saggezza e Autocontrollo.

 

Il religioso si aspettava senza dubbio una risposta ben diversa da quella che ricevette sotto forma di una domanda relativa all'insegnamento della legge sul punto in discussione, ma da buon insegnante risponde con sicurezza:

Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso.

Questa è la somma di tutta quanta la legge morale, ed è data nei termini stessi che Cristo scelse più tardi per rispondere ad un altro dottore della Legge di Gerusalemme (cfr Marco 12:28-34).

Il Signore loda la risposta data dal religioso, per questo prosegue con il comando fa' questo, e vivrai!

Ma è nell'applicazione della norma che viene esposto il punto debole per il dottore della legge e per chiunque confida in una giustizia legale,

Il Signore conosce profondamente il cuore dell’uomo religioso, sa benissimo che  conosce la giustizia, sa anche che spesso la paragona alla malvagità degli altri, ma ben difficilmente vede propria.

Proprio per questo Gesù insegnò sul monte circa la prudenza nell’esprimere giudizi sommari sugli altri:

Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell'occhio tuo?

O, come potrai tu dire a tuo fratello: "Lascia che io ti tolga dall'occhio la pagliuzza", mentre la trave è nell'occhio tuo?

Ipocrita, togli prima dal tuo occhio la trave, e allora ci vedrai bene per trarre la pagliuzza dall'occhio di tuo fratello.

(Matteo 7:3-5)

 

Gesù sta qui confermando tutta la bontà della Legge ed inoltra sta facendo trasparire il vero scopo di Essa: condurci a Lui!

Non vi è alcun dubbio che se un uomo adempie perfettamente tutto ciò che la Legge richiede, egli avrà la vita eterna, ma un uomo mortale è da tanto?

Col suo enfatico «fa questo» Gesù vuole fare riflettere il dottore della Legge:

Posso io, o può qualsiasi uomo mortale far questo?

Se non possiamo ottenere la vita eterna mediante la legge, la colpa non è della legge, ma nostra:

Infatti, ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha fatto; mandando il proprio Figlio in carne simile a carne di peccato e, a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne, affinché il comandamento della legge fosse adempiuto in noi, che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo Spirito.

(Romani 8:3-4)

 

Quest’uomo evidentemente confuso e ridotto al silenzio da una risposta così semplice, completa e perfettamente coerente con l’insegnamento della Legge, cerca di coprire la sua confusione con il domandare la definizione della parola “prossimo”.

La domanda del dottore della Legge è motivata dal “volendo giustificarsi…”, che misera reazione quella dell’uomo religioso davanti alla Giustizia di Dio!

 

***

 

Gesù invece non è confuso e sa cosa è necessario che il dottore della Legge e gli altri uditori hanno necessità di capire e propone loro una semplice parabola:

Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s'imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.

 

Gesù prende l’esempio di un uomo che è in una strada in forte discesa, con punto di partenza la città santa (luogo di benedizione) e destinazione la città maledetta (luogo di maledizione).

L’esempio è emblematico, un uomo (probabilmente israelita) si è incamminato nella strada del peccato, i suoi piedi stanno percorrendo una strada in discesa (verso il peccato), lontano dal luogo della presenza di Dio.

E’ fuori dalle mura (senza protezione), non solo… …in una strada deserta e piena di insidie, alla mercè dei briganti.

La distanza tra Gerusalemme e Gerico è di circa cinque ore di cavallo (trenta chilometri), e passato il villaggio di Betania, la via scende sempre ed in modo molto ripido.

Il livello altimetrico di Gerico (trecento metri sotto il livello del mare) è 1100 metri al disotto di quello di Gerusalemme (ottocento metri sopra il livello del mare).

Quella strada è pericolosa oggi come al tempo di Gesù.

A metà strada si trovano luoghi fortemente impervi con spelonche occupate da  predoni beduini.

Ancora oggi ai turisti vengono evitate certe strade se non sotto scorta di arabi.

Gesù era passato spesso per quella via, ed in queste poche parole ce ne descrive accuratamente i pericoli.

Il risultato di questo allontanamento è l’essere stato spogliato, ferito e ridotto in fin di vita.

L’essere stato spogliato, rappresenta l’aver perso ogni dignità ed essere esposto all’infamia.

Le ferite ci parlano dei dolori che si è procurato percorrendo questa via.

Nella Scrittura troviamo molti avvertimenti circa i dolori che procura il peccato:

- sia per gli empi:

Molti dolori subirà l'empio; ma chi confida nel SIGNORE sarà circondato dalla sua grazia.

(Salmo 32:10)

- che per i pii:

Infatti l'amore del denaro è radice di ogni specie di mali; e alcuni che vi si sono dati, si sono sviati dalla fede e si sono procurati molti dolori.

(1 Timoteo 6:10)

 

Cosa ha spinto quest’uomo a incamminarsi per quella via?

 Possibile che egli non conoscesse la sua pericolosità così rinomata?

 Non si rendeva conto del pericolo?

 

Il problema che l’uomo naturale è profondamente insoddisfatto, la carne reclama soddisfazione… …e la cerca lontano dalla presenza di Dio!

Anche un cristiano che non si nutre della Parola di Dio e non vive per Essa, piano piano rischia di ricordare “i cibi del peccato”, proprio come il popolo di Israele che, preso dalla concupiscenza per essersi fatto influenzare da coloro che non erano “popolo di Dio” ma si erano uniti ad esso, nella sua ribellione, ricordava i cibi di cui si nutriva in Egitto e disprezzava la manna donata da Dio:

L'accozzaglia di gente raccogliticcia che era tra il popolo fu presa da concupiscenza; e anche i figli d'Israele ricominciarono a piagnucolare e a dire: «Chi ci darà da mangiare della carne?

Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto a volontà, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell'aglio.

E ora siamo inariditi; non c'è più nulla!

I nostri occhi non vedono altro che questa manna».  (Numeri 11:4-6)

 

E’ profondamente triste vedere come tanti Figli di Dio, non provino più piacere nel cibarsi dei delizioso cibi offerti da Dio e ricerchino nuovamente l’immondizia del peccato… …eppure avviene!

E’ triste vedere i piedi di Caino dopo essersi confrontato con la giustizia di Dio:

Caino si allontanò dalla presenza del SIGNORE e si stabilì nel paese di Nod, a oriente di Eden.  (Genesi 4:16)

 

E’ altresì commovente vedere il risultato di Naomi al suo ritorno a Betlemme, dopo aver pensato di trovare nutrimento lontano dalla “città del pane” (Betlemme) del popolo di Dio:

Al tempo dei giudici ci fu nel paese una carestia, e un uomo di Betlemme di Giuda andò a stare nelle campagne di Moab con la moglie e i suoi due figli.

Quest'uomo si chiamava Elimelec, sua moglie, Naomi, e i suoi due figli, Malon e Chilion; erano efratei, di Betlemme di Giuda. Giunsero nelle campagne di Moab e si stabilirono là.

Elimelec, marito di Naomi, morì, e lei rimase con i suoi due figli.

Questi sposarono delle moabite, delle quali una si chiamava Orpa, e l'altra Rut; e abitarono là per circa dieci anni.

Poi Malon e Chilion morirono anch'essi, e la donna restò priva dei suoi due figli e del marito.   (Rut 1:1-4)

 

E quando giunsero a Betlemme, tutta la città fu commossa per loro.

Le donne dicevano: «È proprio Naomi?»

E lei rispondeva: «Non mi chiamate Naomi; chiamatemi Mara, poiché l'Onnipotente m'ha riempita d'amarezza. Io partii nell'abbondanza, e il SIGNORE mi riconduce spoglia di tutto. Perché chiamarmi Naomi, quando il SIGNORE ha testimoniato contro di me, e l'Onnipotente m'ha resa infelice?»    (Rut 1:19-21)

 

 

Il Signore ci ama, conosce perfettamente la nostra capacità di gustare e digerire i cibi, fidiamoci di questo esperto Chef:

«O voi tutti che siete assetati, venite alle acque; voi che non avete denaro
venite, comprate e
mangiate
!

Venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte!

Perché spendete denaro per ciò che non è pane e il frutto delle vostre fatiche per ciò che non sazia?

Ascoltatemi attentamente e mangerete ciò che è buono, gusterete cibi succulenti!  (Isaia 55:1-2)

 

Isaia ci parla dello stato dell’uomo naturale, insoddisfatto e perso nella sua spasmodica ricerca di cibo, proprio come una pecora smarrita in cerca di cibo:

Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la propria via  (Isaia 53:6)

 

Percorrere questa strada di allontanamento da Dio è facile, è in discesa, basta seguire il proprio corpo, le gambe si muovono da sole, senza alcuna fatica.

La corrente e l’inerzia ci porta da sola, la massa ci aiuterà a prendere anche velocità.

Paolo parla di questo cammino quando lo definisce “l’andazzo di questo mondo”:

Dio ha vivificato anche voi, voi che eravate morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati, ai quali un tempo vi abbandonaste seguendo l'andazzo di questo mondo, seguendo il principe della potenza dell'aria, di quello spirito che opera oggi negli uomini ribelli. Nel numero dei quali anche noi tutti vivevamo un tempo, secondo i desideri della nostra carne, ubbidendo alle voglie della carne e dei nostri pensieri; ed eravamo per natura figli d'ira, come gli altri.

(Efesini 2:1-3)

 

Paolo ci da alcune utili indicazioni per riconoscere questo “andazzo” pericoloso:

            - si segue il principe della potenza dell’aria;

            - si seguono i desideri della carne;

            - si ubbidisce alle voglie della carne;

            - si ubbidisce alle voglie dei propri pensieri.

 

Il cristiano è invece chiamato:

- Seguire Gesù Cristo:

Anche noi, dunque, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta.  (Ebrei 12:1-2)

- Non ubbidire ai desideri della carne e non seguirli:

Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno, senza gozzoviglie e ubriachezze; senza immoralità e dissolutezza; senza contese e gelosie; ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non abbiate cura della carne per soddisfarne i desideri(Romani 13:13-14)

- Non ubbidire ai nostri desideri ed ai nostri pensieri:

In realtà, sebbene viviamo nella carne, non combattiamo secondo la carne; infatti le armi della nostra guerra non sono carnali, ma hanno da Dio il potere di distruggere le fortezze, poiché demoliamo i ragionamenti e tutto ciò che si eleva orgogliosamente contro la conoscenza di Dio, facendo prigioniero ogni pensiero fino a renderlo ubbidiente a Cristo; e siamo pronti a punire ogni disubbidienza, quando la vostra ubbidienza sarà completa. (2 Corinzi 10:3-6)

 

            Già Salomone ci esortava in tal senso:

Confida nel SIGNORE con tutto il cuore e non ti appoggiare sul tuo discernimento.
Riconoscilo in tutte le tue vie ed egli appianerà i tuoi sentieri. 
(Proverbi 3:5-6)

 

Il pericolo non lo si avverte subito, solo dopo esserci allontanati la strada si fa insidiosa ed i briganti sono dietro le rocce che aspettano lo sventurato, la strada da Gerusalemme a Gerico è inizialmente con una pendenza lieve, solo dopo il villaggio di Betania (circa cinque chilometri da Gerusalemme), comincia ad essere in forte pendenza.

Abbiamo la Sapienza di Dio per l’uomo raccolta nei Proverbi e lì troviamo questa descrizione:

La follia è una donna turbolenta, sciocca, che non sa nulla.

Siede alla porta di casa, sopra una sedia, nei luoghi elevati della città, per chiamare quelli che passano per la via, che vanno diritti per la loro strada, dicendo: «Chi è sciocco venga qua!» E a chi è privo di senno dice: «Le acque rubate sono dolci, il pane mangiato di nascosto è delizioso».

Ma egli non sa che là sono i defunti, che i suoi convitati giacciono in fondo al soggiorno dei morti.

(Proverbi 9:13-18)

 

***

 

Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto.

Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto.

 

Gesù è accorto nella sua descrizione in quanto (ai suoi tempi) Gerico era una delle città di Giuda che divenute “dimora di villeggiatura” di sacerdoti e di leviti (sintomo anche di una depravazione morale tra la categoria).

Essi, “alti ministri della religione”, avrebbero invece dovuto risiedere a Gerusalemme anche in segno di testimonianza nei confronti del popolo.

Le parole “per caso”, ci fanno anche presupporre che sia il sacerdote che il levita, in realtà non avevano uno scopo preciso per passare di là, percorrevano quella strada senza avere un motivo utile.

Quest'uomo miseramente ridotto in fin di vita era probabilmente un concittadino del sacerdote, e come tale suo «prossimo» anche secondo la gretta interpretazione che i Giudei davano a quella parola, eppure dopo averlo visto, dopo averne constatata la condizione disperata, il sacerdote passò oltre dal lato opposto e continuò la sua via, lasciando, per quanto lo concerneva, che il meschino morisse e ricevesse la degna ricompensa per il suo peccato, seppure fosse suo compito ed obbligo il portare soccorso (fosse anche un animale di proprietà di un nemico):

Se vedi l'asino di un tuo fratello o il suo bue caduto sulla strada, tu non farai finta di non averli visti, ma dovrai aiutare il tuo prossimo a rialzarlo.

(Deuteronomio 22:4)

 

Se incontri il bue del tuo nemico o il suo asino smarrito, non mancare di ricondurglielo.

Se vedi l'asino di colui che ti odia caduto a terra sotto il carico, guardati bene dall'abbandonarlo, ma aiuta il suo padrone a scaricarlo. (Esodo 23:4-5)

 

Nel Talmud (testo della tradizione ebraica) si affronta invece il caso inverso a quello proposto da Gesù, ovvero di un ebreo che trova per strada un samaritano ferito e naturalmente non è tenuto a prestare soccorso.

Ci rendiamo così conto di cosa voleva dire Gesù quando accusò i farisei:

Avendo tralasciato il comandamento di Dio, vi attenete alla tradizione degli uomini.

Come sapete bene annullare il comandamento di Dio per osservare la tradizione vostra! (Marco 7:8-9)

 

I sacerdoti erano uomini in alta autorità religiosa, loro erano preposti alle offerte sacrificali del tempio.

Rappresentavano la dignità spirituale più elevata in Israele.

 

I Leviti (così detti per distinguerli dai sacerdoti che appartenevano esclusivamente alla famiglia di Aaronne), erano stati messi a parte da Mosè, per fare tutte le opere pratiche del Tabernacolo, e da Davide per le funzioni di coristi durante il culto.

Come il sacerdote, questo levita passò accanto al povero disgraziato senza rendergli assistenza alcuna, quantunque si fosse fermato abbastanza da conoscerne appieno la misera e disperata situazione.

 

Nei cuori di entrambi, la vista del povero ferito non sveglia che egoistici timori per il proprio conto, portandoli ad una “dignitosa indifferenza”.

L’uomo religioso si ferma davanti all’apparenza di un comportamento falsamente devoto, per questo Gesù li additò molte volte come ipocriti…

 

Lo stato disperato di quest’uomo è descritto mirabilmente da Davide in un suo salmo:

O SIGNORE, non rimproverarmi nella tua ira, non punirmi nel tuo furore!

Poiché le tue frecce mi hanno trafitto e la tua mano è scesa su di me.

Non c'è nulla d'intatto nel mio corpo a causa della tua ira; non c'è requie per le mie ossa a causa del mio peccato.

Poiché le mie iniquità sorpassano il mio capo; sono come un grave carico, troppo pesante per me. Le mie piaghe sono fetide e purulente per la mia follia.

Sono curvo e abbattuto, triste vado in giro tutto il giorno.

I miei fianchi sono infiammati, e non v'è nulla d'intatto nel mio corpo.

Sono sfinito e depresso; ruggisco per il fremito del mio cuore.

Signore, ti sta davanti ogni mio desiderio, i miei gemiti non ti sono nascosti.

Il mio cuore palpita, la mia forza mi lascia; anche la luce dei miei occhi m'è venuta meno. Amici e compagni stanno lontani dalla mia piaga, i miei stessi parenti si fermano a distanza.

Tende lacci chi desidera la mia morte, dice cose cattive chi mi augura del male, e medita inganni tutto il giorno.

Ma io mi comporto come un sordo che non ode, come un muto che non apre bocca. Sono come un uomo che non ascolta, nella cui bocca non ci sono parole per replicare. In te spero, o SIGNORE; tu risponderai, o Signore, Dio mio!

Io ho detto: «Non si rallegrino di me; e quando il mio piede vacilla, non s'innalzino superbi contro di me».

Perché io sto per cadere, il mio dolore è sempre davanti a me.

Io confesso il mio peccato, sono angosciato per la mia colpa.

Ma quelli che senza motivo mi sono nemici sono forti, quelli che m'odiano a torto si sono moltiplicati.

Anche quelli che mi rendono male per bene sono miei avversari, perché seguo il bene.
O SIGNORE, non abbandonarmi; Dio mio, non allontanarti da me; affrèttati in mio aiuto, o Signore, mia salvezza!

(Salmo 38)

 

***

 

Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui.

Il giorno dopo, presi due denari, li diede all'oste e gli disse: "Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno".

 

I Samaritani erano una razza mista che discendeva da quel resto di Israeliti che Salmanassar aveva lasciati nel loro paese, e dai coloni pagani che quel medesimo re vi aveva trasportati dalla Media, e la loro religione era ai tempi di Cristo una combinazione del culto levitico, con dei riti idolatrici.

Nel libro apocrifo di Siracide (L’Ecclesiastico), a proposito dei samaritani, si trova scritto:

            stupido popolo che abita in Sichem e che non è neppure un popolo   (Ecclesiastico 50:27-28)

 

Il terzo viaggiatore che passa per quella la via maledetta, appartiene a quella razza straniera e disprezzata.

Egli, come gli altri viaggiatori, vede lo sventurato, ma a differenza degli altri due, ne ha pietà, compassione… ha amore!

E’ questa la differenza tra le due categorie di uomini, da una parte il giudiziodall’altra l’amore, non la semplice “commozione sterile”, ma l’amore per la vita di quest’uomo messa in pericolo e privo di ogni capacità di rialzarsi.

Il soccorso inizia con l’avvicinarsi, questo movimento ci fa comprendere che il soccorso amorevole non è “a distanza”, non si può fasciare le ferite standosene alle debite distanze …occorre stare molto vicini, occorre mettere le mani vicino alla piaga aperta, sentire il fetore del pus che fuoriesce dalle ferite sporche ed infette, qui porta l’amore.

Giacomo fa riflettere quando scrive:

A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo? Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: «Andate in pace, scaldatevi e saziatevi», ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve? Così è della fede; se non ha opere, è per se stessa morta.   (Giacomo 2:14-17)

 

Vino ed olio erano, e sono tuttora usati in Palestina ed in tutto l'Oriente, come pure in parecchi paesi dell'occidente, come rimedii efficaci per le ferite, quando nessuna parte vitale è rimasta offesa; il vino per le ferite, l'olio per attutirne il dolore, troviamo descritto nella Scrittura il loro usuale utilizzo:

Dalla pianta del piede fino alla testa non c'è nulla di sano in esso: non ci sono che ferite, contusioni, piaghe aperte, che non sono state ripulite, né fasciate, né lenite con olio.  (Isaia 1:6)

 

Questo compassionevole samaritano non lascia incompiuta la sua opera di soccorso.

L'aiuto “lenitivo” che ha dato al ferito sarebbe stato forse inutile, se egli lo provvedesse a condurlo in un luogo sicuro, dove egli possa riprendersi, perciò decide in cuor suo di condurlo all'albergo dove egli stesso aveva da alloggiare, e per questo scopo lo mette sulla sua cavalcatura e se ne prende cura personalmente fino al mattino.

La sua compassione non cessa, passando tutta la notte con lui, si è probabilmente reso conto meglio delle sue ferite, ha sentito nel dettaglio la storia sventurata di quest’uomo e comprende che per riprendersi dal trauma, egli ha bisogno di tempo.

Il samaritano a questo punto avrebbe potuto dire: "Ho fatto la parte mia verso il vostro concittadino, fate ora voi".

Ma, invece paga lui personalmente le cure per sanare lo sventurato; l’uomo ferito essendo stato spogliato di tutte le provviste ed effetti, non era assolutamente in grado di far fronte a nulla.

Il samaritano, partendo, raccomanda all’albergatore di averne cura promettendogli di rimborsare al ritorno tutte le spese.

Che nobilissima condotta per parte di un amico ed ancora più elevata se si considera che l’uomo era per il samaritano un forestiero ed appartenente ad un popolo ostile!

 

***

 

Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s'imbatté nei ladroni?»

Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia».

Gesù gli disse: «Va', e fa' anche tu la stessa cosa».

 

Qui Gesù richiede una risposta la parabola al suo dotto interlocutore che, almeno questa volta in modo onesto ammette quanto sia stato nobile l’amore di un uomo disprezzato rispetto a quello dimostrato dalla categoria alla quale egli stesso apparteneva.

Il caso era tanto chiaro che nessun'altra risposta era possibile, ma il religioso la diede con riluttanza; l'orgoglio non gli consentì di nominare il Samaritano, egli lo designa semplicemente come colui.

L'applicazione che Gesù fa della domanda «chi, è il mio prossimo?» benché rivolta al dottore della Legge, si estende a tutti gli uomini, ed è suo volere che ogni Cristiano l'applichi a se stesso.

Oltre a quest'ovvia e letterale applicazione della parabola, possiamo sicuramente considerare come il Signore Gesù stesso, definito in modo dispregiativo “Il Nazareno”, sia COLUI che meglio di chiunque riveste la figura di questo UOMO SAMARITANO.

 

IL PROSSIMO DA AMARE E’ GESU’

 

Il dottore della Legge è qui avvertito da Gesù che il suo prossimo gli sta davanti!

E’ Colui che lo vuole soccorrere nel suo smarrimento… …non si sa se questo interlocutore abbia compreso il messaggio lanciatogli da Gesù, ma noi… …abbiamo capito CHI è il nostro PROSSIMO?

Gesù Cristo, è straniero per questo mondo, è stato rifiutato, allontanato:

            - Maria dovette posare il Figlio dentro una mangiatoia:

…ella diede alla luce il suo figlio primogenito, lo fasciò, e lo coricò in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo (Luca 2:7)

                       

È venuto in casa sua e i suoi non l'hanno ricevuto  (Giovanni 1:11)

 

Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza…   (Isaia 53:3)

 

- I farisei Lo additarono proprio così:

Non diciamo noi con ragione che sei un Samaritano e che hai un demonio.    (Giovanni 8:48)

 

A differenza del sacerdote e del levita, questo samaritano era in viaggio, non era lì per caso, stava compiendo un viaggio che, come si evince dal testo, prevedeva una andata ed un ritorno

E’ Lui che ci ha visto nel nostro stato miserevole, al margine della strada, spogliati di ogni dignità, ricchezza, malmenati ed in fin di vita a causa del nostro stato di peccato.

Non gli hanno fatto ribrezzo le nostre ferite, non ha avuto timore di “sporcarsi le mani”, anzi il profeta Isaia dice che si è caricato delle nostre malattie e dei nostri dolori, ne ha risposto Lui stesso… ha pagato il conto delle nostre cure!

Il profeta Isaia lo vedeva proprio così:

Egli è cresciuto davanti a lui come una pianticella, come una radice che esce da un arido suolo; non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né aspetto tale da piacerci.

Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza, pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia, era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna.

Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato; ma noi lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato!

 (Isaia 53:2-4)

 

Possiamo conoscere il “carattere” di Dio anche nelle parola di Neemia:

Ma i nostri padri si sono comportati con superbia, irrigidendo i loro colli, e non ubbidendo ai tuoi comandamenti.

Hanno rifiutato di ubbidire, e non si sono ricordati delle meraviglie da te fatte in loro favore; e hanno irrigidito i loro colli e, nella loro ribellione, si sono voluti dare un capo per tornare alla loro schiavitù.

Ma tu sei un Dio pronto a perdonare, misericordioso, pieno di compassione, lento all'ira e di gran bontà, e non li hai abbandonati (Neemia 9:16-17)

 

L’opera compiuta da questo samaritano, è un opera che, oltre coinvolgerlo personalmente, coinvolge anche altri (l’albergatore), che viene ricompensato per il suo lavoro… …tutto questo ci fa pensare al meraviglioso disegno di Dio.

Paolo ci ricorda che:

…mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi. Difficilmente uno morirebbe per un giusto; ma forse per una persona buona qualcuno avrebbe il coraggio di morire; Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.

Tanto più dunque, essendo ora giustificati per il suo sangue, saremo per mezzo di lui salvati dall'ira.

Se infatti, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, tanto più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita.

Non solo, ma ci gloriamo anche in Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, mediante il quale abbiamo ora ottenuto la riconciliazione.

(Romani 5:6-11)

 

Noi uomini, dobbiamo inevitabilmente riconoscere la nostra incapacità di amare in questo modo, non ne abbiamo una capacità naturale.

Per natura nel cuore di ogni uomo naturale manca il principio dell'amore.

Paolo già riconosceva questa realtà ai suoi tempi ed in se stesso:

io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene;   (Romani 7:18)

 

E scrive a Timoteo che gli uomini degli ultimi tempi in particolare, amano il piacere non il bene (cfr 2 Timoteo 3:4) e sempre nei suoi insegnamenti li dichiara estranei e nemici a causa dei pensieri e delle opere malvagie (cfr Colossesi 1:21).

 

Senza una rigenerazione del cuore ed un profondo rinnovamento della mente non può trovarsi in noi l’Amore di Dio.

Questo santo affetto procede da Dio stesso, essendo impiantato e cresciuto nell'anima, per mezzo dello Spirito Santo:

l'amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato.  (Romani 5:5)

 

Lo Spirito lo produce, facendo nascere nel cuor degli uomini la certezza dell'amore di Dio manifestato in Cristo Gesù.

Noi siamo chiamati ad amare non “per avere la Vita Eterna”, ma perché “abbiamo ricevuto la Vita Eterna”!

Esso consiste in alta stima per Dio (timore di Dio) come infinitamente glorioso, santo e compassionevole: in ardente desiderio di goder la sua comunione ed è il risultato della convinzione deliberata dell'intelligenza, in opposizione a mero entusiasmo.

Esso va ben oltre le parole:

Questo è l'amor di Dio, che noi osserviamo i suoi comandamenti.   (1 Giovanni 5:3)

 

L'insegnamento di questa parabola è lo stesso che quello che Gesù stesso insegnò ai Suoi discepoli quando disse: «Amatevi gli uni gli altri, come io ho amati voi»

( Giovanni 15:12) e nel quale ci riconosciamo sempre mancanti e debitori:

Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge.  (Romani 13:8)

 

E che Giovanni ordina nelle sue lettere:

Carissimi, non vi scrivo un comandamento nuovo, ma un comandamento vecchio che avevate fin da principio: il comandamento vecchio è la parola che avete udita.

E tuttavia è un comandamento nuovo che io vi scrivo, il che è vero in lui e in voi; perché le tenebre stanno passando, e già risplende la vera luce.

Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre.

Chi ama suo fratello rimane nella luce e non c'è nulla in lui che lo faccia inciampare.

Ma chi odia suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi.  (1 Giovanni 2:7-11)

 

In questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chiunque non pratica la giustizia non è da Dio; come pure chi non ama suo fratello.

(1 Giovanni 3:10)

 

Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli.

Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia suo fratello è omicida; e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna.

Da questo abbiamo conosciuto l'amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli.

Ma se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrebbe l'amore di Dio essere in lui?

Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e in verità.

Da questo conosceremo che siamo della verità e renderemo sicuri i nostri cuori davanti a lui.  (1 Giovanni 3:14-19)

 

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio.

Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato per noi l'amore di Dio: che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo affinché, per mezzo di lui, vivessimo.

In questo è l'amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati.

Carissimi, se Dio ci ha tanto amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri.
Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e il suo amore diventa perfetto in noi.

Da questo conosciamo che rimaniamo in lui ed egli in noi: dal fatto che ci ha dato del suo Spirito.

E noi abbiamo veduto e testimoniamo che il Padre ha mandato il Figlio per essere il Salvatore del mondo.

Chi riconosce pubblicamente che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio.

Noi abbiamo conosciuto l'amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto. Dio è amore; e chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui.

In questo l'amore è reso perfetto in noi: che nel giorno del giudizio abbiamo fiducia, perché qual egli è, tali siamo anche noi in questo mondo. Nell'amore non c'è paura; anzi, l'amore perfetto caccia via la paura, perché chi ha paura teme un castigo. Quindi chi ha paura non è perfetto nell'amore.

Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo.

Se uno dice: «Io amo Dio», ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto.

Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: che chi ama Dio ami anche suo fratello. (1 Giovanni 4:7-21)

 

L’Amore viene quindi da Dio e non da noi!

E’ il miracolo che Dio compie in noi mediante lo Spirito Santo.

Se riusciamo “miracolosamente” ad essere di aiuto e di soccorso, è per la grazia di Dio, non è una nostra opera meritoria, è semplicemente la Grazia di Dio che si manifesta per nostro mezzo quale espressione dell’Opera Sua in noi!

Non dobbiamo nemmeno pensare di dovere da soli svolgere tutto l’incarico, il Signore per primo ci ha mostrato che è necessario che l’opera venga condivisa con chi è nelle possibilità di essere coinvolto, ricordiamoci sempre che la Chiesa è un corpo composto da molte membra… (cfr 1 Corinzi 12:12-31)

Esaminiamoci per vedere se quell'amore di Dio è nel nostro cuore, e se ci impegniamo a camminare per lo Spirito non seguendo i desideri della carne, mediante l'uso costante dei mezzi di grazia, ricordandoci che il nostro primo scopo deve essere sempre di amare il nostro Padre in cielo, e di conseguenza i fratelli in fede ed in prospettiva tutti gli uomini.

Paolo scriveva così ai fratelli della galazia:

Così dunque, finché ne abbiamo l'opportunità, facciamo del bene a tutti; ma specialmente ai fratelli in fede.        (Galati 6:10)

 

Gianni Marinuzzi