VANGELO DI GESU’ CRISTO SECONDO LUCA

 

GESU’ CRISTO UOMO

 

INTRODUZIONE E DEDICA

 

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INTRODUZIONE

 

Luca era molto probabilmente un uomo di origine greca e di professione medico.

Egli si unì a Paolo nel secondo viaggio missionario e ciò risulta dal libro degli atti (di cui è autore) in quanto è inoltre co-protagonista in alcune porzioni:

La sua unione al viaggio di Paolo da Troas fino a Filippi (pare poi che Luca si fermò probabilmente a Filippi in quanto nel suo libro degli Atti non ne parla più in prima persona plurale fino al capitolo 20):

Poi attraversarono la Frigia e la regione della Galazia, perché lo Spirito Santo vietò loro di annunciare la parola in Asia; e, giunti ai confini della Misia, cercavano di andare in Bitinia; ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro; e, oltrepassata la Misia, discesero a Troas.

Paolo ebbe durante la notte una visione: un macedone gli stava davanti, e lo pregava dicendo: «Passa in Macedonia e soccorrici».

Appena ebbe avuta quella visione, cercammo subito di partire per la Macedonia, convinti che Dio ci aveva chiamati là, ad annunciare loro il vangelo.

Perciò, salpando da Troas, puntammo diritto su Samotracia, e il giorno seguente su Neapolis; di là ci recammo a Filippi, che è colonia romana e la città più importante di quella regione della Macedonia; e restammo in quella città alcuni giorni.

Il sabato andammo fuori dalla porta, lungo il fiume, dove pensavamo vi fosse un luogo di preghiera; e sedutici parlavamo alle donne là riunite.

Una donna della città di Tiatiri, commerciante di porpora, di nome Lidia, che temeva Dio, ci stava ad ascoltare.

Il Signore le aprì il cuore, per renderla attenta alle cose dette da Paolo.

Dopo che fu battezzata con la sua famiglia, ci pregò dicendo: «Se avete giudicato ch'io sia fedele al Signore, entrate in casa mia, e alloggiatevi».

E ci costrinse ad accettare.

Mentre andavamo al luogo di preghiera, incontrammo una serva posseduta da uno spirito di divinazione…

 (Luca 16:6-16)

 

Si riunisce a Paolo nuovamente a Troas nel suo viaggio di rientro dal terzo viaggio missionario fino all’arrivo a Gerusalemme.

Durante questo viaggio assistette in prima persona alla resurrezione del giovane Eutico a Troas e accompagnò Paolo da Asso fino a Gerusalemme assistendo di persona al discorso fatto da Paolo agli anziani di Efeso:

Cessato il tumulto, Paolo fece chiamare i discepoli e, dopo averli esortati, li salutò e partì per la Macedonia.

Attraversate quelle regioni, rivolgendo molte esortazioni ai discepoli, giunse in Grecia. Qui si trattenne tre mesi.

Poi, dato che i Giudei avevano ordito un complotto contro di lui mentre stava per imbarcarsi per la Siria, decise di ritornare attraverso la Macedonia.

Lo accompagnarono Sòpatro di Berea, figlio di Pirro, Aristarco e Secondo di Tessalonica, Gaio di Derba, Timoteo e, della provincia d'Asia, Tichico e Trofimo. Questi andarono avanti e ci aspettarono a Troas.

Trascorsi i giorni degli Azzimi, partimmo da Filippi e, dopo cinque giorni, li raggiungemmo a Troas, dove ci trattenemmo sette giorni.

Il primo giorno della settimana, mentre eravamo riuniti per spezzare il pane, Paolo, dovendo partire il giorno seguente, parlava ai discepoli, e prolungò il discorso fino a mezzanotte.

Nella sala di sopra, dov'eravamo riuniti, c'erano molte lampade; un giovane di nome Eutico, che stava seduto sul davanzale della finestra, fu colto da un sonno profondo, poiché Paolo tirava in lungo il suo dire; egli, sopraffatto dal sonno, precipitò giù dal terzo piano, e venne raccolto morto.

Ma Paolo scese, si gettò su di lui e, abbracciatolo, disse: «Non vi turbate, perché la sua anima è in lui».

Poi risalì, spezzò il pane e prese cibo; e dopo aver ragionato lungamente sino all'alba, partì.

Il giovane fu ricondotto vivo, ed essi ne furono oltremodo consolati.

Quanto a noi, che eravamo partiti con la nave, facemmo vela per Asso, dove avevamo intenzione di prendere a bordo Paolo; perché egli aveva stabilito così, volendo fare quel tragitto a piedi.

Quando ci raggiunse ad Asso, lo prendemmo con noi, e arrivammo a Mitilene.

Di là, navigando, arrivammo il giorno dopo di fronte a Chio; il giorno seguente approdammo a Samo, e il giorno dopo giungemmo a Mileto.

Paolo aveva deciso di oltrepassare Efeso, per non perdere tempo in Asia; egli si affrettava per trovarsi a Gerusalemme, se gli fosse stato possibile, il giorno della Pentecoste.

Da Mileto mandò a Efeso a chiamare gli anziani della chiesa.

Quando giunsero da lui, disse loro:

«Voi sapete in quale maniera, dal primo giorno che giunsi in Asia, mi sono sempre comportato con voi, servendo il Signore con ogni umiltà, e con lacrime, tra le prove venutemi dalle insidie dei Giudei; e come non vi ho nascosto nessuna delle cose che vi erano utili, e ve le ho annunciate e insegnate in pubblico e nelle vostre case, e ho avvertito solennemente Giudei e Greci di ravvedersi davanti a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo.

Ed ecco che ora, legato dallo Spirito, vado a Gerusalemme, senza sapere le cose che là mi accadranno.

So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. Ma non faccio nessun conto della mia vita, come se mi fosse preziosa, pur di condurre a termine la mia corsa e il servizio affidatomi dal Signore Gesù, cioè di testimoniare del vangelo della grazia di Dio.

E ora, ecco, io so che voi tutti fra i quali sono passato predicando il regno, non vedrete più la mia faccia.

Perciò io dichiaro quest'oggi di essere puro del sangue di tutti; perché non mi sono tirato indietro dall'annunciarvi tutto il consiglio di Dio. Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata con il proprio sangue.

Io so che dopo la mia partenza si introdurranno fra di voi lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge; e anche tra voi stessi sorgeranno uomini che insegneranno cose perverse per trascinarsi dietro i discepoli. Perciò vegliate, ricordandovi che per tre anni, notte e giorno, non ho cessato di ammonire ciascuno con lacrime.

E ora, vi affido a Dio e alla Parola della sua grazia, la quale può edificarvi e darvi l'eredità di tutti i santificati. Non ho desiderato né l'argento, né l'oro, né i vestiti di nessuno. Voi stessi sapete che queste mani hanno provveduto ai bisogni miei e di coloro che erano con me. In ogni cosa vi ho mostrato che bisogna venire in aiuto ai deboli lavorando così, e ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse egli stesso: "Vi è più gioia nel dare che nel ricevere"».

Quand'ebbe dette queste cose, si pose in ginocchio e pregò con tutti loro.

Tutti scoppiarono in un gran pianto; e si gettarono al collo di Paolo, e lo baciarono, dolenti soprattutto perché aveva detto loro che non avrebbero più rivisto la sua faccia; e l'accompagnarono alla nave.

Dopo esserci separati da loro, salpammo, e giungemmo direttamente a Cos, il giorno seguente a Rodi e di là a Patara. E, trovata una nave diretta in Fenicia, salimmo a bordo e salpammo.

Giunti in vista di Cipro, e lasciatala a sinistra, navigammo verso la Siria, e approdammo a Tiro, perché qui si doveva scaricare la nave.

Trovati i discepoli, soggiornammo là sette giorni.

Essi, mossi dallo Spirito, dicevano a Paolo di non metter piede a Gerusalemme; quando però fummo al termine di quei giorni, partimmo per continuare il viaggio, accompagnati da tutti loro, con le mogli e i figli, sin fuori dalla città; dopo esserci inginocchiati sulla spiaggia, pregammo e ci dicemmo addio; poi salimmo sulla nave, e quelli se ne tornarono alle loro case.

Terminata la navigazione, da Tiro arrivammo a Tolemaide; e, salutati i fratelli, restammo un giorno con loro.

Ripartiti il giorno dopo, giungemmo a Cesarea; ed entrati in casa di Filippo l'evangelista, che era uno dei sette, restammo da lui.

Egli aveva quattro figlie non sposate, le quali profetizzavano.

Eravamo là da molti giorni, quando scese dalla Giudea un profeta, di nome Agabo. Egli venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: «Questo dice lo Spirito Santo: "A Gerusalemme i Giudei legheranno così l'uomo a cui questa cintura appartiene, e lo consegneranno nelle mani dei pagani"».

Quando udimmo queste cose, tanto noi che quelli del luogo lo pregavamo di non salire a Gerusalemme.

Paolo allora rispose: «Che fate voi, piangendo e spezzandomi il cuore? Sappiate che io sono pronto non solo a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù».

E, poiché non si lasciava persuadere, ci rassegnammo dicendo: «Sia fatta la volontà del Signore».

Dopo quei giorni, fatti i nostri preparativi, salimmo a Gerusalemme.

Vennero con noi anche alcuni discepoli di Cesarea, che ci condussero in casa di un certo Mnasone di Cipro, discepolo di vecchia data, presso il quale dovevamo alloggiare.

Arrivati a Gerusalemme, i fratelli ci accolsero festosamente…

 (Atti 20:5 / 21:17)

Lo troviamo infine ancora al fianco di Paolo (sotto scorta romana) nel suo ultimo e turbolento (con tanto di naufragio) viaggio verso Roma:

Quando fu deciso che noi salpassimo per l'Italia, Paolo con altri prigionieri furono consegnati a un centurione, di nome Giulio, della coorte Augusta.

Saliti sopra una nave di Adramitto, che doveva toccare i porti della costa d'Asia, salpammo, avendo con noi Aristarco, un macedone di Tessalonica.

Il giorno seguente arrivammo a Sidone; e Giulio, usando benevolenza verso Paolo, gli permise di andare dai suoi amici per ricevere le loro cure.

Poi, partiti di là, navigammo al riparo di Cipro, perché i venti erano contrari.

E, attraversato il mare di Cilicia e di Panfilia, arrivammo a Mira di Licia.

Il centurione, trovata qui una nave alessandrina che faceva vela per l'Italia, ci fece salire su quella.

Navigando per molti giorni lentamente, giungemmo a fatica, per l'impedimento del vento, di fronte a Cnido. Poi veleggiammo sotto Creta, al largo di Salmone; e, costeggiandola con difficoltà, giungemmo a un luogo detto Beiporti, vicino al quale era la città di Lasea.

Intanto era trascorso molto tempo, e la navigazione si era fatta pericolosa, poiché anche il giorno del digiuno era passato.

Paolo allora li ammonì dicendo: «Uomini, vedo che la navigazione si farà pericolosa con grave danno, non solo del carico e della nave, ma anche delle nostre persone».

Il centurione però aveva più fiducia nel pilota e nel padrone della nave che non nelle parole di Paolo.

E, siccome quel porto non era adatto a svernare, la maggioranza fu del parere di partire di là per cercare di arrivare a Fenice, un porto di Creta esposto a sud-ovest e a nord-ovest, e di passarvi l'inverno.

Intanto si era alzato un leggero scirocco e, credendo di poter attuare il loro proposito, levarono le ancore e si misero a costeggiare l'isola di Creta più da vicino.

Ma poco dopo si scatenò giù dall'isola un vento impetuoso, chiamato Euroaquilone; la nave fu trascinata via e, non potendo resistere al vento, la lasciammo andare ed eravamo portati alla deriva.

Passati rapidamente sotto un'isoletta chiamata Clauda, a stento potemmo impadronirci della scialuppa.

Dopo averla issata a bordo, utilizzavano dei mezzi di rinforzo, cingendo la nave di sotto; e, temendo di finire incagliati nelle Sirti, calarono l'àncora galleggiante, e si andava così alla deriva.

Siccome eravamo sbattuti violentemente dalla tempesta, il giorno dopo cominciarono a gettare il carico.

Il terzo giorno, con le loro proprie mani, buttarono in mare l'attrezzatura della nave.

Già da molti giorni non si vedevano né sole né stelle, e sopra di noi infuriava una forte tempesta, sicché ogni speranza di scampare era ormai persa.

Dopo che furono rimasti per lungo tempo senza mangiare, Paolo si alzò in mezzo a loro, e disse: «Uomini, bisognava darmi ascolto e non partire da Creta, per evitare questo pericolo e questa perdita. Ora però vi esorto a stare di buon animo, perché non vi sarà perdita della vita per nessuno di voi ma solo della nave. Poiché un angelo del Dio al quale appartengo, e che io servo, mi è apparso questa notte, dicendo: "Paolo, non temere; bisogna che tu compaia davanti a Cesare, ed ecco, Dio ti ha dato tutti quelli che navigano con te".

Perciò, uomini, state di buon animo, perché ho fede in Dio che avverrà come mi è stato detto. Dovremo però essere gettati sopra un'isola».

E la quattordicesima notte da che eravamo portati qua e là per l'Adriatico, verso la mezzanotte, i marinai sospettavano di essere vicini a terra; e, calato lo scandaglio, trovarono venti braccia; poi, passati un po' oltre e scandagliato di nuovo, trovarono quindici braccia.

Temendo allora di urtare contro gli scogli, gettarono da poppa quattro ancore, aspettando con ansia che si facesse giorno.

Ma siccome i marinai cercavano di fuggire dalla nave, e già stavano calando la scialuppa in mare con il pretesto di voler gettare le ancore da prua, Paolo disse al centurione e ai soldati: «Se costoro non rimangono sulla nave, voi non potete scampare». Allora i soldati tagliarono le funi della scialuppa, e la lasciarono cadere.

Finché non si fece giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo, dicendo: «Oggi sono quattordici giorni che state aspettando, sempre digiuni, senza prendere nulla.

Perciò, vi esorto a prendere cibo, perché questo contribuirà alla vostra salvezza; e neppure un capello del vostro capo perirà».

Detto questo, prese del pane e rese grazie a Dio in presenza di tutti; poi lo spezzò e cominciò a mangiare. E tutti, incoraggiati, presero anch'essi del cibo.

Sulla nave eravamo duecentosettantasei persone in tutto.

E, dopo essersi saziati, alleggerirono la nave, gettando il frumento in mare.

Quando fu giorno, non riuscivamo a riconoscere il paese; ma scorsero un'insenatura con spiaggia, e decisero, se possibile, di spingervi la nave.

Staccate le ancore, le lasciarono andare in mare; sciolsero al tempo stesso i legami dei timoni e, alzata la vela maestra al vento, si diressero verso la spiaggia.

Ma essendo incappati in un luogo che aveva il mare dai due lati, vi fecero arenare la nave; e mentre la prua, incagliata, rimaneva immobile, la poppa si sfasciava per la violenza delle onde.

Il parere dei soldati era di uccidere i prigionieri, perché nessuno fuggisse a nuoto.

Ma il centurione, volendo salvare Paolo, li distolse da quel proposito, e ordinò che per primi si gettassero in mare quelli che sapevano nuotare, per giungere a terra, e gli altri, chi sopra tavole, e chi su rottami della nave.

E così avvenne che tutti giunsero salvi a terra.

Dopo essere scampati, riconoscemmo che l'isola si chiamava Malta.

Gli indigeni usarono verso di noi bontà non comune; infatti, ci accolsero tutti intorno a un gran fuoco acceso a motivo della pioggia che cadeva e del freddo.

Mentre Paolo raccoglieva un fascio di rami secchi e li poneva sul fuoco, ne uscì fuori una vipera, risvegliata dal calore, e gli si attaccò alla mano.

Quando gli indigeni videro la bestia che gli pendeva dalla mano, dissero tra di loro: «Certamente, quest'uomo è un omicida perché, pur essendo scampato dal mare, la Giustizia non lo lascia vivere».

Ma Paolo, scossa la bestia nel fuoco, non ne patì alcun male.

Or essi si aspettavano di vederlo gonfiare o cadere morto sul colpo; ma dopo aver lungamente aspettato, vedendo che non gli avveniva nessun male, cambiarono parere, e cominciarono a dire che egli era un dio.

Nei dintorni di quel luogo vi erano dei poderi dell'uomo principale dell'isola, chiamato Publio, il quale ci accolse amichevolmente e ci ospitò per tre giorni.

Il padre di Publio era a letto colpito da febbre e da dissenteria. Paolo andò a trovarlo; e, dopo aver pregato, gli impose le mani e lo guarì.

Avvenuto questo, anche gli altri che avevano delle infermità nell'isola vennero, e furono guariti; questi ci fecero grandi onori; e, quando salpammo, ci rifornirono di tutto il necessario.

Tre mesi dopo, ci imbarcammo su una nave alessandrina, recante l'insegna di Castore e Polluce, la quale aveva svernato nell'isola.

Approdati a Siracusa, vi restammo tre giorni.

Di là, costeggiando, arrivammo a Reggio.

Il giorno seguente si levò un vento di scirocco, e in due giorni giungemmo a Pozzuoli.

Qui trovammo dei fratelli, e fummo pregati di rimanere presso di loro sette giorni. E dunque giungemmo a Roma.

Or i fratelli, avute nostre notizie, di là ci vennero incontro sino al Foro Appio e alle Tre Taverne; e Paolo, quando li vide, ringraziò Dio e si fece coraggio.

E quando entrammo a Roma, a Paolo fu concesso di abitare per suo conto con un soldato di guardia.

 

Con l’arrivo a Roma, Luca si è preoccupato di assistere Paolo fino all’ultimo, troviamo traccia di questa sua dedizione nelle ultime lettere dell’apostolo:

Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema.

(Colossesi 4:14)

Solo Luca è con me.

(2 Timoteo 4:11)

Epafra, mio compagno di prigionia in Cristo Gesù, ti saluta.

Così pure Marco, Aristarco, Dema, Luca, miei collaboratori.

(Filemone 23-24)

Siamo dunque di fronte ad un autore assolutamente affidabile, che (per mezzo di Paolo e non solo) si è accuratamente informato di ogni cosa dall'origine.

 

Luca, sicuramente aveva conosciuto il Vangelo anche per mezzo di Paolo e l’insegnamento che l’apostolo annunciava era stato da lui ben assimilato.

In particolare Paolo insegnava come Gesù Cristo fosse l’Uomo perfetto stabilito da Dio per riscattare tutta l’umanità, come leggiamo nella sua lettera ai romani:

Perciò, come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato... Poiché, fino alla legge, il peccato era nel mondo, ma il peccato non è imputato quando non c'è legge.

Eppure, la morte regnò, da Adamo fino a Mosè, anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.

Però, la grazia non è come la trasgressione.

Perché se per la trasgressione di uno solo, molti sono morti, a maggior ragione la grazia di Dio e il dono della grazia proveniente da un solo uomo, Gesù Cristo, sono stati riversati abbondantemente su molti.

Riguardo al dono non avviene quello che è avvenuto nel caso dell'uno che ha peccato; perché dopo una sola trasgressione il giudizio è diventato condanna, mentre il dono diventa giustificazione dopo molte trasgressioni.

Infatti, se per la trasgressione di uno solo la morte ha regnato a causa di quell'uno, tanto più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo di quell'uno che è Gesù Cristo.

Dunque, come con una sola trasgressione la condanna si è estesa a tutti gli uomini, così pure, con un solo atto di giustizia, la giustificazione che dà la vita si è estesa a tutti gli uomini.

Infatti, come per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati resi peccatori, così anche per l'ubbidienza di uno solo, i molti saranno costituiti giusti.

(Romani 5:12-19)

E questo è l’adempimento della prima profezia messianica della Parola di Dio:

Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno.

(Genesi 3:15)

Luca presenta quindi Gesù Cristo sotto questa luce, quale progenie della donna odiato dal serpente e dalla sua progenie ma vittorioso e redentore di tutta l’umanità.

L’attenzione particolare per la figura della donna è peculiare nel racconto di Luca, quasi a riscattarla dall’umiliazione di avere per prima creduto al serpente del giardino dell’Eden; sotto questa luce è possibile considerare come mette a confronto la figura di Zaccaria e di Maria nei due annunci delle nascite di Giovanni il battista e di Gesù.

 

Possiamo schematizzare questo libro come segue:

 

1)               Dedica (1:1-4)

 

2)               La presentazione dell’Uomo (1:4 / 2:52)

a.  Gli annunci delle nascite (1:5-56)

b.  Nascita e fanciullezza dell’Uomo (1:57 / 2:52)

 

3)               Preparazione dell’Uomo (3:1 / 4:13)

a.  La preparazione (3:1-20)

b.  La presentazione spirituale (3:21-22)

c.  La presentazione umana (3:23-28)

d.  La prova (4:1-13)

 

4)               Il ministerio dell’Uomo (4:14 / 9:50)

a.  L’inizio del ministerio (4:14-30)

b.  La legittimazione dell’autorità dell’Uomo (4:31 / 6:11)

c.  Il sermone dell’Uomo (sul luogo piano) (6:12-49)

d.  Il ministerio dell’Uomo verso quelli di fuori (7-8)

e.  L’ìnsegnamento dell’Uomo ai discepoli (9:1-50)

 

5)               Il viaggio dell’Uomo verso Gerusalemme (9:51 / 19:27)

a.  L’Uomo respinto dalla maggioranza (9:51 / 11:54)

b.  La preparazione dei discepoli al rifiuto (12:1 / 19:27)

 

6)               L’Uomo a Gerusalemme (19:28 / 21:38)

a.  L’Uomo a Gerusalemme (19:28-44)

b.  L’Uomo nel tempio (19:45 / 21:38)

 

7)               La morte e la resurrezione dell’Uomo (22-24)

a.  La morte ed il seppellimento dell’Uomo (22-23)

b.  La resurrezione e le apparizioni dell’Uomo (24)

 

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DEDICA (1:1-4)

Poiché molti hanno intrapreso a ordinare una narrazione dei fatti che hanno avuto compimento in mezzo a noi, come ce li hanno tramandati quelli che da principio ne furono testimoni oculari e che divennero ministri della Parola, è parso bene anche a me, dopo essermi accuratamente informato di ogni cosa dall'origine, di scrivertene per ordine, illustre Teofilo, perché tu riconosca la certezza delle cose che ti sono state insegnate.

(Luca 1:1-4)

 

Luca dice che in quel primo secolo molti avevano intrapreso a ordinare una narrazione dei fatti che hanno avuto compimento tra i primi credenti, e questi fatti erano stati tramandati quelli che da principio ne furono testimoni oculari e che divennero ministri della Parola (gli apostoli).

Questa successione di trasmissione è quella di cui parlava Gesù già nella preghiera sacerdotale:

Io ho dato loro la tua parola…

…la tua parola è verità.

Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo…

…Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola…

(tratto da Giovanni 17:14-20)

Questi fatti sorprendenti venivano annotati e trasmessi da coloro che li avevano ricevuti direttamente dagli apostoli.

Al tempo di Luca, queste annotazioni erano probabilmente brevi e frammentarie, e non tali da soddisfare i bisogni spirituali di coloro che bramavano conoscere il ministerio di Gesù Cristo sulla terra.

 

Luca (sospinto dallo Spirito Santo) ha raccolto tutte queste informazioni dalle stesse sorgenti certe, e le ha ordinate in questo libro.

Questo Vangelo, insieme agli altri tre canonici, sono sopravvissuti a qualunque tentativo di distruzione e sono accettati con sorprendente unanimità, di secolo in secolo, come lo Statuto di tutta quanta la Cristianità.

Luca, con l’espressione di essersi accuratamente informato di ogni cosa dall'origine, sembra volerci dire con che egli era risalito alle fonti più attendibili (probabilmente gli apostoli e i testimoni oculari che ebbe la possibilità di incontrare a Gerusalemme in occasione del viaggio di Paolo per portare l’offerta ed essere poi arrestato), così da comprendere nella sua narrazione e la nascita del Salvatore e quella del Suo precursore Giovanni.

Il destinatario primo di questo libro è un certo Teofilo (Colui che ama Dio), che Luca introduce con l’appellativo di illustre (kratiste=eccellentissimo), titolo di rango applicato sempre da Luca ai Governatori romani Felice e Feste a Cesarea:

Claudio Lisia, all'eccellentissimo governatore Felice, salute.

(Atti 23:26)

Siccome per merito tuo, eccellentissimo Felice, godiamo molta pace, e per la tua previdenza…

(Atti 24:3)

Ma Paolo disse: «Non vaneggio, eccellentissimo Festo; ma pronuncio parole di verità, e di buon senno. Il re, al quale parlo con franchezza, conosce queste cose; perché sono persuaso che nessuna di esse gli è nascosta; poiché esse non sono accadute in segreto.

(Atti 26:25-26)

Possiamo quindi supporre che Teofilo fosse un alto magistrato, un uomo di stirpe nobile che si era avvicinato al cristianesimo, ma possiamo anche applicare questo appellativo a tutti coloro che amano veramente Dio.

…perché tu riconosca la certezza delle cose che ti sono state insegnate.

Lo scopo del libro scritto da Luca è il fare riconoscere a Teofilo (e ad ogni lettore) la certezza delle cose che gli sono state insegnate.

Luca vuole che Teofilo acquisti ulteriori o più accurate conoscenze di quelle che era già in possesso e fosse perfettamente istruito circa la Persona e l’Opera di Gesù il Cristo.

Questo deve essere anche quindi lo scopo del nostro studio: riconoscere la certezza delle cose che ci sono state insegnate.

 

 Gianni Marinuzzi