Lettera di Paolo ai Galati
Galati 1:1-24
Questa lettera, scritta molto probabilmente intorno al 48-50 d.C., subito
dopo il primo viaggio missionario ed immediatamente prima della Conferenza
di Gerusalemme, descrive tutta la preoccupazione di Paolo, circa gli
insegnamenti che alcuni falsi apostoli avevano portato nelle chiese della
Galazia.
Questa è una lettera scritta dall’apostolo Paolo con autorità apostolica ed
è una lettera di denuncia e conseguente presa di posizione radicale.
E’ una lettera che contiene, in forma concisa, ciò che l’apostolo Paolo
insegnò, soprattutto durante il suo primo viaggio missionario insieme a
Barnaba.
In particolare essa contiene una chiara descrizione della giustificazione
per fede e su quel fondamento costruisce la difesa della libertà cristiana
contro qualsiasi forma di legalismo, ma contestualmente spiega cos’è ed in
cosa consiste la Libertà cristiana.
Molte delle argomentazioni trattate da Paolo nella lettera saranno poi
oggetto dell’imminente Conferenza di Gerusalemme (Atti 15) dove si fa
espressamente riferimento a questi presunti inviati che non sono
riconosciuti dagli apostoli di Gerusalemme e che volevano reintrodurre
all’interno della chiesa nascente tra i pagani, le norme della Legge ai fini
dell’ottenimento della salvezza.
E’ una lettera scritta con autorità apostolica, Paolo
si presenta innanzi tutto come apostolo
e traspare una evidente
“santa ira” per quanto è successo in queste chiese di
Antiochia, Iconio, Listra, Derba e Perga.
Paolo è costretto a difendere il suo apostolato messo in dubbio da alcuni
falsi fratelli intrusi nelle chiese della galazia.
Paolo difende il suo apostolato non a titolo personale, ma perché se non
difendesse il suo apostolato, verrebbe a mancare di credibilità tutto il
Vangelo che ha predicato nella regione.
I capitoli 1 e 2 sono quindi dedicati alla difesa dell’apostolato e del
vangelo predicato.
I capitoli 3 e 4 sono dedicati alla spiegazione della dottrina della
giustificazione per sola fede.
I capitoli 5 e 6 sono dedicati alla dimostrazione della vera Libertà in
Cristo ed alla vita vissuta secondo lo Spirito.
Possiamo, al fine di comprendere lo scopo della lettera, provare a
suddividere quanto scritto in paragrafi schematici:
1.
Il saluto
2.
La denuncia
3.
Difesa
dell’autorità apostolica di Paolo:
a.
Il Vangelo
trasmesso è stato ricevuto da rivelazione
b.
Il Vangelo
trasmesso ha prodotto in Paolo un cambiamento incontestabile
c.
Paolo è stato
riconosciuto dagli altri apostoli
d.
Paolo, per mezzo
del Vangelo trasmesso ha usato autorità verso uno dei più rappresentativi
apostoli
4.
Difesa della
giustificazione per fede:
a.
Richiamo
all’esperienza diretta dei galati
b.
Dimostrazione della
giustificazione per fede quale promessa di Dio fatta ad Abramo
c.
L’effetto della
Legge
d.
L’opera di Cristo
e.
La promessa di Dio
stabile, immutabile se non rendendola vana
f.
Lo scopo della
Legge
g.
La posizione
attuale dei figli di Dio eredi della Promessa
h.
Esposizione legale
della dottrina dell’adozione
i.
Esortazione a non
cedere al legalismo
j.
Esortazione a
ricordare la fiducia iniziale
5.
Difesa della
libertà prodotta dal Vangelo:
a.
Esempio dei figli
di Abramo (Il figlio della schiava/il figlio della donna libera)
b.
Il ritorno alla
Legge rovina la Grazia
c.
Il ritorno alla
Legge rende l’uomo debitore
d.
Il ritorno alla
Legge significa rinnegare la Grazia
e.
Il ritorno alla
Legge ostacola il progresso del cristiano
f.
Il ritorno alla
Legge annulla la croce
g.
L’uso scorretto
della Libertà
h.
L’uso corretto
della Libertà: una vita secondo lo Spirito
i.
L’uso corretto
della Libertà: una vita di servizio volonteroso
6.
Conclusione
a.
Saluto autografo
b.
Identificazione e
descrizione degli avversari del Vangelo
c.
Posizione e vanto
spirituale di Paolo
d.
Benedizione
***
1.
Il saluto
Paolo, apostolo
non da parte di uomini né per mezzo di un uomo, ma
per
mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre
che lo ha risuscitato dai morti,
e tutti i fratelli che sono con me,
alle chiese della Galazia; grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal
Signore Gesù Cristo, che ha dato se stesso per i nostri peccati, per
sottrarci al presente secolo malvagio, secondo la volontà del nostro Dio e
Padre, al quale sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Paolo presenta la sua autorità spirituale, non presenta
se stesso né la sua autorità umana.
Questa non è una lettera “morbida”, è una lettere
“ruvida”, di riprensione seria; Paolo è fortemente irritato e meravigliato
del cambio di rotta di questi fratelli che in poco tempo si sono fatti
sviare e non hanno saputo reggere l’attacco dei nemici della croce di
Cristo.
Paolo
puntualizza subito che il suo apostolato non veniva dagli uomini, ma
direttamente da Gesù Cristo risorto.
Paolo non fu chiamato da Gesù Cristo uomo, durante il suo
ministerio terreno, ma da Gesù Cristo risorto.
…tutti i
fratelli che sono con me
Probabilmente, essendo già rientrato ad Antiochia, Paolo
si riferisce a Barnaba e tutti i fratelli, profeti e insegnanti che
costituivano la chiesa di Antiochia:
Nella chiesa
che era ad Antiochia c'erano profeti e dottori: Barnaba, Simeone
detto Niger,
Lucio di Cirene, Manaem, amico d'infanzia di Erode il tetrarca, e Saulo.
(Atti 13:1)
***
2.
La denuncia
Mi meraviglio
che così presto voi passiate, da colui che vi ha chiamati mediante la grazia
di Cristo, a un altro vangelo.
Ché poi non c'è un altro
vangelo; però ci sono alcuni che
vi
turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo.
Ma anche se noi o un angelo dal
cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato,
sia anatema.
Come abbiamo già detto, lo
ripeto di nuovo anche adesso: se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da
quello che avete ricevuto, sia
anatema.
Vado forse
cercando il favore degli uomini, o quello di Dio?
Oppure cerco di
piacere agli uomini?
Se cercassi
ancora di piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo.
Paolo si meraviglia… così presto? Questa espressione ci
fa intendere quanto poco tempo fosse passato dalla conversione dei fratelli
della Galazia.
In queste chiese, Paolo e Barnaba
nel loro viaggio di rientro, avevano fatto eleggere e designato per ciascuna
chiesa degli anziani e li avevano raccomandati al Signore nel quale avevano
creduto (cfr Atti 14:23), ma tutto questo, a causa di
alcuni che volevano
sovvertire il vangelo di Cristo (che
Paolo definisce
intrusi, falsi fratelli – vedi Galati 2:4),
rischiava di rendere vana la
predicazione di Paolo e la sua fatica (cfr Galati 4:11), di
rendere vana la sofferenza patita
dai galati stessi (cfr Galati 3:4), di
rigettare la promessa di Dio
(che non può essere resa vana – cfr Galati 3:17),
scadendo così dalla Grazia (cfr
Galati 5:4) e rendendo vana la morte
di Gesù Cristo (cfr Galati 2:21).
Questo continuo richiamo alla
vanità, portato avanti dall’apostolo Paolo, deve farci comprendere come egli
considera la
vanità come la conseguenza del peccato, e come essa
sia uno stato di schiavitù, di accecamento totale,
di estraneità alla Vita di Dio e privo di
qualsiasi “sentimento”.
Proprio a Listra, egli ebbe a dichiarare (in occasione
della festa pagana che i licaoni organizzarono per gli “dei” Paolo e Barnaba):
Uomini, perché fate queste cose? Anche noi siamo
esseri umani come voi; e vi predichiamo che da
queste vanità vi convertiate al Dio
vivente, che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che
sono in essi. (Atti 14:15)
E scrivendo la lettera ai romani dirà:
Poiché la creazione aspetta con
impazienza la manifestazione dei figli di Dio;
perché la creazione è stata
sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che
ve l'ha sottoposta, nella speranza che anche la creazione stessa
sarà liberata dalla schiavitù della
corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio.
(Romani 8:19-21)
E ancora scriverà così ai fratelli di Efeso:
Questo dunque io dico e attesto nel Signore: non
comportatevi più come si comportano i pagani
nella vanità dei loro pensieri, con
l'intelligenza ottenebrata, estranei alla vita di Dio, a motivo
dell'ignoranza che è in loro, a motivo dell'indurimento del loro cuore.
Essi, avendo
perduto ogni sentimento,
si sono abbandonati alla dissolutezza fino a commettere ogni specie di
impurità con avidità insaziabile. (Efesini
4:17-19)
…sia anatema
Gli autori di un tentativo di
sovversione tale
del Vangelo, Paolo li
definisce
Anatema
(maledetti), senza alcun tipo di
attenuante!
E’ utile confrontare l’inizio di questa lettera con
l’inizio della prima lettera ai corinzi; sono effettivamente due lettere di
riprensione, ma mentre con i corinzi (che avevano tra loro problematiche di
immaturità ed immoralità), Paolo trova comunque parola di lode, con i galati,
davanti ad un problema di tipo teologico egli non esprime alcun
ringraziamento o spende parola di lode, sottolineando così la natura più
seria dell’apostasia dottrinale,
Paolo riconosce che il predicare un
tale Vangelo maledetto, produce un’evidente fascino negli uomini “naturali”,
i quali si sentono gratificati della loro integrità basata sulla Legge che
gratifica le coscienze ribelli a Dio, ma lui non intende piacere agli
uomini, egli si definisce
servo di Cristo,
e tale vuole essere anche in coerenza con i
suoi insegnamenti sul servizio conseguenza della Libertà (cfr Galati
6:1-10).
Si può esser tolleranti in molte cose che non toccano
alla sostanza del Vangelo e non interessano direttamente la salvezza; ma
quando si tratta delle verità essenziali del cristianesimo, diventa dovere
di coscienza una santa intransigenza, e un uomo risoluto e saldo può salvare
una chiesa da grave situazione.
Mi meraviglio che così presto
voi passiate…
Il termine “passiate”
(greco “metatithesthe”),
significa letteralmente disertare in senso militare.
I fratelli
della Galazia stavano schierandosi con un altro esercito o comunque stavano
abbandonando o deviando dalla retta via, dalla sana dottrina. Stavano
abbracciando
a un altro vangelo.
Questo atteggiamento dei fratelli
della galazia ci insegna che c'è sempre nell'uomo vecchio che dorme in fondo
al cuore anche dei cristiani,
l'amore delle novità, la disposizione ad ascoltare chi adula, chi
solletica l'orgoglio umano presentando la salvezza dell'uomo come dovuta, in
parte almeno, al nostro intervento.
Paolo insiste e dichiara fermamente
che un vangelo di legalismo che aggiunge l’opera alla fede non è lo stesso
tipo di vangelo che egli predicava e per mezzo del quale si può essere
salvati. Quel vangelo
sovverte il vangelo di Cristo.
Se le opere fossero necessarie ai fini della salvezza
allora l’Opera di Gesù Cristo non sarebbe stata sufficiente ed Egli morto
inutilmente (cfr Galati 2:21).
Quando il messaggio di Dio è corrotto il pericolo è di
essere separati e perduti (cfr con la caduta di Genesi 3), pertanto quando
il messaggio di salvezza eterna è corrotto il serio pericolo è di essere
perduti per l’eternità!
***
3.
Difesa
dell’autorità apostolica di Paolo:
a.
Il Vangelo
trasmesso è stato ricevuto da rivelazione
Vi dichiaro,
fratelli, che il vangelo da me
annunciato non è opera d'uomo; perché io stesso non l'ho ricevuto né
l'ho imparato da un uomo, ma
l'ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo.
Paolo non si arroga alcun “diritto d’autore” sul Vangelo
trasmesso, egli si identifica nella figura dell’ambasciatore, questo è anche
il suo insegnamento (cfr 2 Corinzi 5:20), egli si preoccupa solamente di
trasmettere fedelmente il messaggio divino, come d’altronde insegna:
Del resto,
quel che si
richiede agli amministratori è che ciascuno sia trovato fedele.
(1 Corinzi 4:2)
***
3.
Difesa dell’autorità apostolica di Paolo:
b.
Il Vangelo
trasmesso ha prodotto in Paolo un cambiamento incontestabile
Infatti voi avete udito quale sia stata la mia
condotta nel passato, quand'ero nel giudaismo; come perseguitavo a oltranza
la chiesa di Dio, e la devastavo; e mi distinguevo nel giudaismo più di
molti coetanei tra i miei connazionali, perché ero estremamente zelante
nelle tradizioni dei miei padri.
Ma
Dio che m'aveva prescelto fin
dal seno di mia madre e mi ha chiamato mediante la sua grazia,
si compiacque di rivelare in me il
Figlio suo perché io lo annunciassi fra gli stranieri.
Allora
io non mi consigliai con nessun uomo,
né salii a Gerusalemme da quelli che erano stati apostoli prima di me, ma me
ne andai subito in Arabia; quindi ritornai a Damasco.
Poi, dopo tre anni, salii a Gerusalemme per visitare
Cefa e stetti da lui quindici giorni; e non vidi nessun altro degli
apostoli; ma solo Giacomo, il fratello del Signore.
Ora, riguardo a ciò che vi scrivo, ecco, vi dichiaro,
davanti a Dio, che non mento.
Poi andai nelle regioni della
Siria e della Cilicia; ma ero sconosciuto personalmente alle chiese di
Giudea, che sono in Cristo; esse sentivano soltanto dire: «Colui
che una volta ci perseguitava, ora predica la fede, che nel passato cercava
di distruggere».
E per causa mia glorificavano Dio.
…perché io lo
annunciassi fra gli stranieri.
Lo scopo della rivelazione divina era che Paolo lo
annunciasse agli stranieri.
…io non mi
consigliai con nessun uomo
Paolo afferma qui che egli era stato libero da qualsiasi
influenza umana, anche in seguito alla sua conversione.
Se la rivelazione ricevuta fosse stata “poco
comprensibile” ed egli fosse stato insicuro, sarebbe potuto andare subito a
Gerusalemme per un seminario con gli apostoli, ma egli non lo fece, si recò
subito in Arabia, dove aveva formato, nella solitudine e nella sola guida
divina, la teologia del Vangelo.
Non dobbiamo vedere in questo atteggiamento di Paolo una
sorta di presunzione o di alto concetto di superiorità, o ancora un esempio
di insottomissione al discepolato, ma Paolo aveva un percorso del tutto
particolare, veniva dall’insegnamento farisaico più stretto ed era destinato
da Dio stesso per un compito completamente opposto, aveva quindi necessità
di una trasformazione così radicale che solo il Signore poteva compiere.
Colui che una
volta ci perseguitava, ora predica la fede, che nel passato cercava di
distruggere
Paolo, a difesa della sua autorità apostolica richiama
l’evidente cambiamento della propria condotta, degli scopi della sua vita.
Evidenziando la sua condotta estremamente ribelle prima
della conversione, egli da gloria a Dio per la radicale trasformazione e
nello stesso tempo evidenzia come l’Opera di Dio possa compiersi in
qualsiasi uomo, anche il più efferato nemico della croce di Cristo.
Paolo sottolinea che sia la conversione che il suo
mandato apostolico, non erano dovuti all’uomo ma a Dio.
In quale altro modo potrebbe spiegarsi una simile
trasformazione, da persecutore a perseguitato?
***
3.
Difesa dell’autorità apostolica di Paolo:
c.
Paolo è stato
riconosciuto dagli altri apostoli
Poi, trascorsi quattordici anni,
salii di nuovo a Gerusalemme con
Barnaba, prendendo con me anche
Tito.
Vi salii in
seguito a una rivelazione,
ed esposi loro il vangelo che
annuncio fra gli stranieri; ma lo esposi privatamente a quelli che sono i
più stimati, per il timore di correre o di aver corso invano.
Ma
neppure Tito, che era con me, ed era
greco, fu costretto a farsi circoncidere.
Anzi, proprio a causa di
intrusi, falsi fratelli,
infiltratisi di nascosto tra di noi per spiare la libertà che abbiamo in
Cristo Gesù, con l'intenzione di renderci schiavi,
noi non
abbiamo ceduto alle imposizioni di costoro neppure per un momento, affinché
la verità del vangelo rimanesse salda tra di voi.
Ma
quelli che godono di particolare
stima (quello che possono essere stati, a me non importa; Dio non ha
riguardi personali), quelli, dico, che godono di maggiore stima non
m'imposero nulla; anzi, quando videro che a me era stato affidato il vangelo
per gli incirconcisi, come a Pietro per i circoncisi (perché colui che aveva
operato in Pietro per farlo apostolo dei circoncisi aveva anche operato in
me per farmi apostolo degli stranieri), riconoscendo la grazia che mi era
stata accordata, Giacomo, Cefa e Giovanni, che sono reputati colonne,
diedero a me e a Barnaba la mano in
segno di comunione perché andassimo noi agli stranieri, ed essi ai
circoncisi; soltanto ci raccomandarono di ricordarci dei poveri, come ho
sempre cercato di fare.
…salii di nuovo
a Gerusalemme con Barnaba,
prendendo con me anche Tito.
Vi salii in
seguito a una rivelazione,
ed esposi loro il vangelo che
annuncio fra gli stranieri; ma lo esposi privatamente a quelli che sono i
più stimati, per il timore di correre o di aver corso invano.
Ma
neppure Tito, che era con me, ed era
greco, fu costretto a farsi circoncidere.
Sembra che questo passo si riferisca alla visita fatta
durante la carestia avvenuta come profetizzato da Agabo (cfr Atti 11:27-30).
Paolo cita la presenza di Tito proprio perché era greco e
questo era un caso da verificare con gli apostoli.
Gli apostoli di Gerusalemme avrebbero costretto un
credente pagano a seguire il rito della circoncisione?
Paolo sapeva che sia i giudei che i pagani sono accettati
da Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo senza alcuna distinzione e che la
chiesa dovrebbe fare lo stesso.
L’apostolo dichiara che questa
verità fu confermata a Gerusalemme perché
neppure Tito, che era greco, fu
costretto a farsi circoncidere.
…Anzi, proprio a causa di
intrusi, falsi fratelli,
infiltratisi di nascosto tra di noi per spiare la libertà che abbiamo in
Cristo Gesù, con l'intenzione di renderci schiavi,
noi non
abbiamo ceduto alle imposizioni di costoro neppure per un momento, affinché
la verità del vangelo rimanesse salda tra di voi.
Le pressioni perché Tito fosse
circonciso ci furono sicuramente e alcuni
intrusi, falsi fratelli, infiltratisi
di nascosto (pareiselthon;
letteralmente “strisciati di fianco”)
si erano introdotti senza essere invitati nella sala dove gli apostoli
conferivano ed essi avevano evidentemente insistito che Tito fosse
circonciso, ma Paolo e Barnaba
non cedetttero alle imposizioni di
costoro neppure per un momento, perché era in gioco
la verità del vangelo.
Imporre la circoncisione a Tito voleva dire negare che la
salvezza era per fede soltanto ed affermare che oltre alla fede ci deve
essere l’obbedienza alla Legge per essere accettati da Dio.
…Ma
quelli che godono di particolare
stima (quello che possono essere stati, a me non importa; Dio non ha
riguardi personali), quelli, dico, che godono di maggiore stima non
m'imposero nulla; anzi, quando videro che a me era stato affidato il vangelo
per gli incirconcisi, come a Pietro per i circoncisi (perché colui che aveva
operato in Pietro per farlo apostolo dei circoncisi aveva anche operato in
me per farmi apostolo degli stranieri), riconoscendo la grazia che mi era
stata accordata, Giacomo, Cefa e Giovanni, che sono reputati colonne,
diedero a me e a Barnaba la mano in
segno di comunione perché andassimo noi agli stranieri, ed essi ai
circoncisi; soltanto ci raccomandarono di ricordarci dei poveri, come ho
sempre cercato di fare.
Tenendo conto del fatto che lo
scopo di Paolo non fosse sicuramente quello di creare rottura o denigrare
gli altri apostoli, egli fa questo discorso “ironico” per fare comprendere
come coloro che lo denigravano e si investivano della autorità ricevuta
dagli apostoli di Gerusalemme (quelli
che godono di particolare stima), non tenevano conto che gli
apostoli stessi avevano approvato il Vangelo che lui predicava.
Non possiamo pero non notare come in questo paragrafo
traspare tutta la sofferenza ed il combattimento di Paolo per non essere
compreso pienamente nel suo mandato, neppure da coloro che dovevano
sostenerlo più apertamente.
Paolo sta comunque dichiarando che Lui e Pietro non
predicano due vangeli diversi, c’è un unico vangelo, predicato a due gruppi
distinti di persone, anche se non sarà sempre così.
***
3.
Difesa dell’autorità apostolica di Paolo:
d.
Paolo, per mezzo
del Vangelo trasmesso ha usato autorità verso uno dei più rappresentativi
apostoli
Ma
quando
Cefa venne ad
Antiochia, gli resistei in faccia perché era da condannare.
Infatti, prima che fossero
venuti alcuni da parte di Giacomo, egli mangiava con persone non giudaiche;
ma quando quelli furono arrivati, cominciò a ritirarsi e a separarsi
per timore dei circoncisi.
E anche gli altri Giudei si
misero a simulare con lui; a tal punto che perfino
Barnaba fu trascinato dalla loro
ipocrisia.
Ma
quando vidi che non camminavano
rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti:
«Se tu, che sei giudeo, vivi alla maniera degli stranieri e non dei Giudei,
come mai costringi gli stranieri a vivere come i Giudei?»
Noi
Giudei di nascita, non stranieri
peccatori, sappiamo che l'uomo
non è giustificato per le opere della legge ma soltanto per mezzo della
fede in Cristo Gesù, e abbiamo anche noi creduto in Cristo Gesù per essere
giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; perché
dalle opere della legge nessuno sarà
giustificato.
Ma se nel
cercare di essere giustificati in Cristo, siamo anche noi trovati peccatori,
vuol dire che Cristo è un servitore del peccato? No di certo! Infatti se
riedifico quello che ho demolito, mi dimostro trasgressore.
Quanto a me, per mezzo della legge, sono morto alla
legge affinché io viva per Dio.
Sono stato
crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me!
La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede
nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me.
Io non annullo la grazia di Dio;
perché
se la giustizia si ottenesse per mezzo della legge, Cristo sarebbe dunque
morto inutilmente.
…Ma
quando
Cefa venne ad
Antiochia, gli resistei in faccia perché era da condannare.
Infatti, prima che fossero
venuti alcuni da parte di Giacomo, egli mangiava con persone non giudaiche;
ma quando quelli furono arrivati, cominciò a ritirarsi e a separarsi
per timore dei circoncisi.
Non si sa con precisione quando Pietro fece questo
viaggio ad Antiochia, ma possiamo supporre che ciò sia avvenuto nel periodo
compreso tra il rientro di Paolo e Barnaba (con Tito) ad Antiochia e prima
della partenza per il primo viaggio missionario, quindi possiamo inserirlo
alla fine del capitolo 12 e prima del capitolo 13 del libro degli Atti degli
apostoli.
Paolo attribuisce questo
comportamento ipocrita e meschino di Pietro alla paura, al
timore
dei circoncisi.
Questo fatto ci deve fare riflettere.
Il Pietro carnale è soggetto a questo rischio (cfr con il
tradimento del Signore), quando Pietro cammina secondo lo Spirito è tutta
un’altra persona (cfr Atti 2:14-36 / 3:12-26 / 4:8-22 / 5:29-32 ecc.).
Quando camminiamo secondo la carne, ricadiamo siamo
sempre schiavi delle nostre debolezze!
…E anche gli altri Giudei si
misero a simulare con lui; a tal punto che perfino
Barnaba fu trascinato dalla loro
ipocrisia.
Il problema che tale atteggiamento è contagioso!
Vediamo
spesso come l’esempio di qualcuno in autorità è spesso simulato dagli altri…
…perfino
da Barnaba!
Pietro, gli altri giudei e Barnaba erano colpevoli di
ipocrisia, mentre confessavano e insegnavano che erano uno in Cristo con gli
stranieri (cfr Atti 10:14 / 10:42-43), negavano questa verità con la loro
condotta.
…Ma
quando vidi che non camminavano
rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti
Paolo in questa debolezza vede uno
sviamento, vede
che non camminavano rettamente
secondo la verità del vangelo.
Paolo, davanti a questa situazione
di sviamento non ci passa sopra…
…non si sottomette all’autorità apostolica in umile ubbidienza come faremmo
probabilmente noi nelle nostre chiese “moderne”.
Davanti allo sviamento dalla
verità del vangelo, Paolo non
cerca di appartarsi con Pietro per discutere la questione,
gli resiste in faccia in presenza di
tutti… …non ci sono riguardi personali!
Riguardi personali… …per Paolo non ci sono e non ci
devono essere, egli insegnerà così:
Quelli che
peccano, riprendili in presenza di tutti, perché anche gli altri abbiano
timore.
Ti scongiuro, davanti a Dio, a Cristo Gesù e agli angeli eletti,
di osservare queste cose senza
pregiudizi, e di non fare nulla con parzialità.
(1 Timoteo 5:20-21)
Infatti vi
sono molti ribelli, ciarloni e seduttori delle menti, specialmente tra
quelli della circoncisione, ai quali bisogna chiudere la bocca; uomini
che sconvolgono intere famiglie, insegnando cose che non dovrebbero, per
amore di un guadagno disonesto.
(Tito 1:10-11)
Anche Giacomo insegnerà così:
Fratelli miei,
la vostra fede nel nostro Signore Gesù Cristo, il Signore della gloria,
sia immune da favoritismi.
(Giacomo 2:1)
…se
avete riguardi personali, voi
commettete un peccato
e siete condannati dalla legge quali trasgressori.
(Giacomo 2:9)
…Noi
Giudei di nascita, non stranieri
peccatori, sappiamo che l'uomo
non è giustificato per le opere della legge ma soltanto per mezzo della
fede in Cristo Gesù, e abbiamo anche noi creduto in Cristo Gesù per essere
giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; perché
dalle opere della legge nessuno sarà
giustificato.
Paolo, con una certa ironia si
definisce, insieme agli
intrusi, giudeo di nascita, non
straniero peccatore, per fare emergere il pensiero arrogante di tal
presunti fratelli che evidentemente non si sentivano peccatori ma si
riparavano ancora dietro i loro riti vuoti che li facevano sentire
“giusti” non “giustificati”.
Ma nello stesso tempo richiama le
loro coscienze che gridavano che
dalle opere della legge nessuno sarà
giustificato.
… Ma se
nel cercare di essere giustificati in Cristo, siamo anche noi trovati
peccatori, vuol dire che Cristo è un servitore del peccato? No di certo!
Infatti se riedifico quello che ho demolito, mi dimostro trasgressore.
Quanto a me,
per mezzo della legge, sono morto
alla legge affinché io viva per Dio.
Sono stato
crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me!
La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede
nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me.
Io non annullo la grazia di Dio;
perché
se la giustizia si ottenesse per mezzo della legge, Cristo sarebbe dunque
morto inutilmente.
Gli oppositori del Vangelo sostenevano che la
giustificazione per mezzo della fede eliminava la legge ed essa incoraggiava
a condurre una vita senza legge, peccaminosa.
Paolo respinge l’accusa, dicendo
che un atteggiamento di questo tipo avrebbe reso
Cristo è un servitore del peccato.
Paolo dichiara che
per mezzo della
legge, è morto alla legge per vivere per Dio.
La Legge
richiedeva la morte per coloro che la trasgredivano, ma Cristo ha pagato
quella pena di morte per tutti i peccatori. Così la Legge ha ucciso Lui e
quelli che uniti a Lui per fede, lasciandoli liberi d
vivere per Dio.
…
Io non annullo la grazia di Dio;
perché
se la giustizia si ottenesse per mezzo della legge, Cristo sarebbe dunque
morto inutilmente.
Predicare il
vangelo proposto da questi intrusi significa predicare
l’annullamento della grazia di Dio
e dichiarare che
Cristo è morto inutilmente!